Locandina Final Destination
La serie iniziata con il primo Final Destination nel 2000 ha una particolarità: ciascuno dei sequel, a parte qualche rimando, è sostanzialmente un remake del capostipite. La cosa dev'essere sembrata evidente anche ai produttori che stavolta hanno rinunciato a proseguire la numerazione, rimasta ferma a Final Destination 3. La struttura resta quella del primo film (disastro iniziale, problemi degli scampati, epilogo sanguinoso), cambiano solo i personaggi e l'ambientazione del primo massacro. Un format così immutabile - basato su uno spunto brillante (quello di far sì che la Morte stessa sia il "cattivo" della storia) - fa dipendere la qualità dei singoli film dall'inventiva nelle variazioni relative alla catastrofe di partenza e ai modi utilizzati dalla Morte, che resta comunque sempre un'entità impersonale, per ripristinare l'ordine violato, dato che la caratterizzazione dei personaggi resta programmaticamente convenzionale e superficiale. Il compito di dare verve alla materia è stato affidato a David R. Ellis, passato recentemente alla regia proprio con Final Destination 2 (2003) e poi spesso rimasto in zona horror e dintorni con film come Snakes on a Plane e Asylum. Solido artigiano con una lunga gavetta alle spalle, Ellis ha dovuto anche nell'occasione confrontarsi con il 3-D, compagno di strada prediletto dell'horror sin dai tempi de La maschera di cera (1953) e recentemente tornato alla ribalta con successo, anche in ambito orrorifico (San Valentino di sangue).
La serie iniziata con il primo Final Destination nel 2000 ha una particolarità: ciascuno dei sequel, a parte qualche rimando, è sostanzialmente un remake del capostipite. La cosa dev'essere sembrata evidente anche ai produttori che stavolta hanno rinunciato a proseguire la numerazione, rimasta ferma a Final Destination 3. La struttura resta quella del primo film (disastro iniziale, problemi degli scampati, epilogo sanguinoso), cambiano solo i personaggi e l'ambientazione del primo massacro. Un format così immutabile - basato su uno spunto brillante (quello di far sì che la Morte stessa sia il "cattivo" della storia) - fa dipendere la qualità dei singoli film dall'inventiva nelle variazioni relative alla catastrofe di partenza e ai modi utilizzati dalla Morte, che resta comunque sempre un'entità impersonale, per ripristinare l'ordine violato, dato che la caratterizzazione dei personaggi resta programmaticamente convenzionale e superficiale. Il compito di dare verve alla materia è stato affidato a David R. Ellis, passato recentemente alla regia proprio con Final Destination 2 (2003) e poi spesso rimasto in zona horror e dintorni con film come Snakes on a Plane e Asylum. Solido artigiano con una lunga gavetta alle spalle, Ellis ha dovuto anche nell'occasione confrontarsi con il 3-D, compagno di strada prediletto dell'horror sin dai tempi de La maschera di cera (1953) e recentemente tornato alla ribalta con successo, anche in ambito orrorifico (San Valentino di sangue).
scena tratta dal film
Lo scenario iniziale è quello di una selvaggia gara automobilistica in stile americano. Un gruppo di amici è andato ad assistervi, con motivazioni e aspettative diverse. Le ragazze - Lori e Janet - sono annoiate, Hunt spera di vedere qualche spettacolare incidente. Nick è più preoccupato dalla vetustà della tribuna su cui sono seduti. In una sorta di sogno a occhi aperti, Nick "vede" il disastro prima che accada. Perciò scappa precipitosamente assieme ai suoi amici, che non capiscono il motivo della sua frenesia: lo capiscono quando il massacro avviene. I superstiti - tra cui alcune persone casualmente coinvolte dalla fuga di Nick - sono inizialmente sollevati per il loro destino, anche se hanno un senso di colpa per avercela fatta dove molti sono morti. Poi capiscono che il loro destino non è poi così gradevole. La Morte non accetta cambiamenti di programma: i suoi modi sono misteriosi e obliqui, ma efficaci, utilizzando anche tipici sentimenti umani, come l'odio razziale che spinge uno dei superstiti a cercare vendetta sul guardiano di colore del circuito automobilistico, dando il via a un domino letale.
scena tratta dal film
La casualità dei piccoli fatti banali che si concatenano determinando l'iniziale disastro e quelli successivi è divertente da osservare e compone il tratto caratteristico dei film di questa serie. Non esiste una storia vera e propria, se non un banale filo che giustifica e lega insieme delle "vignette" sostanzialmente autonome dove, come in uno dei vecchi disegni di Rube Goldberg, un piccolo accadimento dà luogo a una valanga di conseguenze, attraverso un'ineluttabile serie di fatti sfortunati ma tecnicamente possibili. Ormai il gioco è diventato prevedibile, ma anche questa prevedibilità è diventata parte del gioco, parte cioè delle aspettative degli spettatori che vedono i personaggi come marionette appese ai fili di un destino che l'apparente casualità della Morte si diverte a recidere.
Su tutto, infatti, l'ineluttabilità del destino cui tutti bene o male tendiamo e che questo film, a modo suo e senza alcuna pretesa di profondità o serietà, ci porta a considerare.
Nell'economia della serie, questo "nuovo" episodio si mantiene in linea, architettando bizzarri incidenti al limite (e oltre) della credibilità e utilizzandoli per generare una simpatica suspense non tanto sulla sostanza narrativa - che si sa dove andrà a parare - quanto sui metodi per arrivarci. Caratteristiche che aiutano a guardare questo film sono anche il passo svelto e la brevità.
scena tratta dal film
Oltre al 3-D, cui stiamo ormai di nuovo abituandoci, ma che resta un gadget ancora d'effetto per film basati sull'effetto sorpresa e sulla spettacolarità esteriore.
In un cast non sempre all'altezza, si fa notare Mykelti Williamson (Forrest Gump) per la sensibilità della sua interpretazione nel ruolo di un ex alcolista gravato da un autentico senso di colpa e non così spaventato dall'idea di dover morire.
Fonte:
Fonte delle immagini: escapistmagazine.com, empirecinemas.uk, moviesonline.it
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